giovedì 1 settembre 2011

Leonard Warren (New York, 21 aprile 1911 – New York, 4 marzo 1960)


Nato da famiglia ebrea di origine russa, mosse i primi passi nell'ambito musicale cantando nel coro del Radio City Music Hall, studiando nel contempo con Sidney Dietch. Con un repertorio di cinque arie d'opera e una selezione di Rigoletto, nel 1938 vinse il "Metropolitan Opera Competition of the Air", che gli permise di recarsi a Milano per ulteriori studi con Giuseppe Païs e Riccardo Picozzi. Qui conobbe la moglie Agathe, che lo portò a divenire un fervente cattolico.
Tornato negli Stati Uniti, poté debuttare al Metropolitan Opera con estratti da La traviata e Pagliacci durante un concerto nel novembre 1938, cui fece seguito, nel gennaio 1939, il ruolo di Paolo nel Simon Boccanegra, accanto a stelle come Lawrence Tibbett, Ezio Pinza, Giuseppe Martinelli ed Elisabeth Rethberg. Dopo tale esibizione firmò un contratto discografico con la RCA.
Successivamente, in seguito al declino di Lawrence Tibbett, ne prese il posto come primo baritono del teatro newyorkese, dove si esibì regolarmente fino alla morte prematura nel 1960, soprattutto nei grandi ruoli verdiani: il Conte di Luna ne Il trovatore, Germont ne La traviata, Simon Boccanegra, Renato in Un ballo in maschera, Don Carlo ne La forza del destino, Amonasro in Aida, Jago in Otello e Rigoletto, studiato con il grande baritono Giuseppe De Luca e inciso nel 1950.
Interpretò inoltre Escamillo nella Carmen, Valentin nel Faust, Barnaba ne La Gioconda, Tonio nei Pagliacci, Scarpia nella Tosca.
L'attività in Italia si limitò al Teatro alla Scala di Milano, con un non fortunatissimo Rigoletto nel 1953, a fianco di Giuseppe Di Stefano e Rosanna Carteri, e un eccellente Otello nel 1954, con Mario Del Monaco e Renata Tebaldi. Tuttavia a Roma incise Aida, La traviata, Tosca e Il trovatore con i complessi del Teatro dell'Opera, oltre a La forza del destino e La Gioconda con l'orchestra e il coro dell'Accademia di Santa Cecilia.
Nel 1958 intraprese una trionfale tournée in Russia. Nel 1959 fu protagonista di un'acclamata ripresa del Macbeth di Verdi al Metropolitan, poi trasferita su disco.
Scomparve l'anno dopo, a 48 anni, per un'emorragia cerebrale, sul palcoscenico dello stesso teatro newyorkese durante una recita della Forza del destino, mentre si accingeva ad attaccare la cabaletta che segue l'aria "Urna fatale".


Caratteristiche vocali e interpretative
Warren vantava una voce di notevole volume, talora un poco sfocata nel medium, ma eccezionalmente estesa nel registro acuto, che sapeva modulare fino a sfumature precluse a gran parte dei suoi contemporanei. Nel corso della carriera schiarì progressivamente l'emissione e affinò la linea di canto, come testimonia l'incisione del 1959 de "Il balen del suo sorriso", cesellata con una delicatezza e dominio del suono forse mai raggiunti in precedenza. Pur contando su doti attoriali limitate e su una padronanza della lingua italiana non eccelsa (non nella pronuncia, che era molto buona, ma nella capacità mnemonica, come si evidenzia nelle registrazioni dal vivo), sviluppò una cifra interpretativa estranea alla facile estroversione, conferendo grande pathos a Rigoletto, Germont e Simon Boccanegra, ma eccellendo anche nelle classiche figure di "cattivo" del repertorio baritonale come Jago, Scarpia, Tonio e Barnaba, dei quali espresse la malvagità con un fraseggio che sapeva piegarsi fino al più inquietante sussurro. Importante è anche l'interpretazione di Macbeth, di cui ha saputo evocare con notevole efficacia gli incubi ossessivi.

fonte da http://it.wikipedia.org/wiki/Leonard_Warren


Discografia
Rigoletto, con Erna Berger, Jan Peerce, Italo Tajo, Nan Merriman, dir. Renato Cellini - 1950 RCA
Il trovatore, con Jussi Bjorling, Zinka Milanov, Fedora Barbieri, Nicola Moscona, dir. Renato Cellini - 1952 RCA
Pagliacci, con Jussi Bjorling, Victoria de los Angeles, Robert Merrill, Paul Franke, dir. Renato Cellini - 1953 RCA/HMV
Aida, con Zinka Milanov, Jussi Bjorling, Fedora Barbieri, Boris Christoff, dir. Jonel Perlea - 1955 RCA
La traviata, con Rosanna Carteri, Cesare Valletti, dir. Pierre Monteux - 1956 RCA
Tosca, con Zinka Milanov, Jussi Bjorling, dir. Erich Leinsdorf - 1957 RCA
La Gioconda, con Zinka Milanov, Giuseppe Di Stefano, Rosalind Elias, Plinio Clabassi, dir. Fernando Previtali - RCA/Decca 1957
La forza del destino, con Zinka Milanov, Giuseppe Di Stefano, Giorgio Tozzi, Dino Mantovani, dir. Fernando Previtali - RCA/Decca 1958
Il trovatore, con Richard Tucker, Leontyne Price, Rosalind Elias, Giorgio Tozzi, dir. Arturo Basile - RCA 1959
Macbeth, con Leonie Rysanek, Jerome Hines, Carlo Bergonzi, dir. Erich Leinsdorf - RCA 1959




Copertina Cd del Macbeth con Leonie Rysanek diretta da Erich Leinsdorf







Titta Ruffo (Pisa, 9 giugno 1877 – Firenze, 5 luglio 1953)

Tutti gli amatori e appassionati di opera conoscono, anche solo per sentito dire, il nome di Titta Ruffo. Egli fu, non solo un grandissimo cantante (ce n’erano tanti in quell’epoca), ma anche una personalità di straordinaria consistenza anche fuori dalla scena, e quindi merita un posto tutto suo nel firmamento operistico, come si conviene a dei fuoriclasse come lui.



Titta Ruffo (o meglio Ruffo Titta) nacque il 9 giugno 1877 da un certo Oreste Titta che faceva il fabbro. Egli era evidentemente il tipico padre padrone dell’ottocento, piuttosto dispotico, visto che impose al figlio il nome del suo defunto cane da caccia. Insomma, per il nostro Ruffo non cominciò proprio bene!
L’incontro con il magico mondo dell’opera, Ruffo lo ebbe nel 1890 quando, appena tredicenne, andò con il fratello ad una delle recite di debutto di Cavalleria Rusticana.
Il nostro raccontò nelle sue memorie, come Gemma Bellincioni, la bravissima protagonista, lo commosse fino al pianto, e come lui, tornato a casa, provò a cantare con l’accompagnamento del fratello, che suonava il flauto, l’aria d’inizio "O Lola". Lì scoprì di avere un dono di Dio, una voce naturalmente bella, che, nonostante l’ora tarda, non disturbò nessuno, visto che i vicini gli gridavano "Bravo!". Fu quello, come lui stesso raccontò, il suo primo successo di cantante.
Quella folgorazione musicale rappresentò un avvenimento straordinario, perché Ruffo era maturato in un ambiente umile, ma forse allora era più facile che ciò accadesse, visto che anche le persone meno abbienti rispettavano la cultura e avevano il gusto del bello. Titta Ruffo racconta in modo davvero avvincente le sue prime vicissitudini: la sua adolescenza trascorsa a lavorare nell’officina del padre, le litigate con quest’ultimo, che come racconta lui stesso era insopportabile. E fra una lite e l’altra, le risse con i ragazzi del riformatorio e le fughe da casa, riuscì, non si sa come, ad avere le energie per studiare una cosa difficile e dispendiosa, dal punto di vista psicofisico, come il canto. Una passione, questa, che veniva alimentata involontariamente dalla presenza in casa come pensionante, di uno studente di canto, un baritono che rispondeva al nome di Oreste Benedetti (mai sentito nominare). Nello stesso periodo (1890/91), grazie al fratello Ettore studente a S. Cecilia, si presentò al Conservatorio per l’esame di ammissione alla classe di canto, che chiaramente andò bene. Ma, poi, avendo aspramente criticato i metodi "bizantini" del suo insegnante, un certo Persichini, fu cacciato e ritornò alla casa del padre. Non fu proprio un ritorno biblico, infatti, dopo l’ennesimo litigio, lasciò la sua casa per tentare la carriera artistica a Milano.
Nella sua nuova città riuscì, con una lettera di raccomandazione, ad avere lezioni gratuite presso il baritono Lelio Casini, grazie al quale, successivamente ebbe la sua prima scrittura, nel ruolo di Araldo, nel Lohengrin al Costanzi di Roma. In seguito fece una lunga gavetta nei teatri minori della Calabria dove formò il suo repertorio, che ai classici del baritono ottocentesco come Verdi, accostava quelli della giovane scuola che allora andava per la maggiore, Puccini, Leoncavallo e Giordano. Bisogna dire che il nostro affrontò il repertorio verista con la massima prudenza, ovvero con le basi del bel canto ottocentesco, e che, a differenza di numerosi suoi colleghi, anche altrettanto celebri, ne rifiutò ogni manierismo dal facile effetto, dando nobiltà di accento anche alle opere che ne sembravano prive (molti dicono che Puccini non sia nobile, ma forse non lo sono molti famosi esecutori o presunti tali).
Comunque il nome di Titta è indiscutibilmente legato ai ruoli verdiani che cantò per tutta la carriera. Ad esempio il Rigoletto, ruolo in cui debuttò nel 1900 per cantarlo fino al 1931.
La sua fama, dal 1900 al 1904, si sparse in tutta Europa culminando con una prestigiosa apparizione al Royal Opera House. In quella occasione, però, subì uno sgarbo talmente grande che nel teatro londinese non ci mise più piede. Egli doveva fare il Rigoletto, e Gilda doveva essere interpretata dalla mitica Nelly Melba (mitica quanto bisbetica ed antipatica, come compagna di lavoro, deve essere stata una disgrazia per tutti i suoi contemporanei), la quale, avendolo sentito nelle prove ed avendo paura del confronto, si rifiutò di cantare con lui, sostenendo che era troppo giovane (la scusa più idiota che abbia mai sentito), e, trincerandosi dietro questa argomentazione un po’ debole, tanto disse e tanto fece, che riuscì a farlo sostituire facendo rientrare nel ruolo di Rigoletto il maturo e raffreddato Antonio Scotti, che, appunto malato, aveva chiesto di essere sostituito da Ruffo. Questo sgarbo il nostro se lo portò legato al dito per anni, infatti, circa sedici anni più tardi, quando ormai era entrato nell’Olimpo del bel canto, si prese la rivincita. In occasione delle recite di Amleto di Thomas, al San Carlo di Napoli, quando la Melba di passaggio a Napoli e in procinto d’imbarcarsi per l’Australia, chiese al sovrintendente del San Carlo di poter prodursi in una serata nel ruolo di Ofelia accanto a Ruffo, egli rispose "Dite alla Melba che è troppo vecchia per cantare con me!".
La sua carriera cominciò a consolidarsi definitivamente nel 1904, quando fece la sua prima ed ultima stagione scaligera (32 recite). Per uno scherzo del destino non fu più chiamato successivamente alla scala, ma forse anche lui non volle tornarci: la sorte e i lutti familiari, anche violenti (l’assassinio del cognato Matteotti), lo convinsero che, dopotutto l’aria d’Italia era diventata per lui troppo pesante da respirare. Dopo la richiamata alle armi e finita la guerra (la prima), si esiliò volontariamente proseguendo la sua carriera artistica totalmente all’estero.
Il 13 dicembre 1920 interpretò la prima dell’Edipo Re di Leoncavallo, opera a lui dedicata. Dal 1921 al 1929 fu scritturato dal Metropolitan e concluse la sua carriera a New York nel biennio ‘31-’32, con alcune recite di Torca, Amleto e un concerto alla Radio City Hall con brani della Carmen. Quindi tornò in Italia e visse semidimenticato, a Firenze, fino al 5 o 6 luglio 1953, quando scomparve. Egli riposa tuttora nel cimitero monumentale di Milano, fra altri leggendari nomi dello spettacolo italiano.





Discografia

Per chi non lo ha ancora ascoltato è molto difficile capire quanta emozione possano dare ancora i suoi dischi, seppur arcaici. La voce di Titta Ruffo è una delle più fonogeniche che esistano e, anche se la tecnica di allora, forse restituisce solo un riflesso della sua voce, bisogna proprio dire che quel riflesso ruggisce ancora!
Per fortuna, della sua carriera, ci lasciano testimonianza ben 168 facciate a 78 giri, che rispecchiano in toto il suo repertorio, pur mancando di opere complete (non capisco perché, allora, quasi tutti i colossi della registrazione, Columbia, HMV, Odeon, Pathe, preferivano far registrare le opere complete a cantanti mediocri e nessuno abbia mai pensato, per esempio, a un Rigoletto con Ruffo, Caruso e Tetrazzini, allora le tre perle della Victor!).
Le prime registrazioni a noi pervenute sono del 1904 per la casa Pathe (Ruffo nelle sue memorie "La mia parabola" edito da Longanesi, parla di una seduta di registrazione nel 1897, ma a me non risulta). Queste facciate fanno l’effetto che fanno: sono registrazione arcaiche con il sottofondo stile friggitoria e con il buffissimo annuncio all’inizio del brano. Di questi dischi mi piace soltanto "Tu sola a me rimani" da Chatterton di Leoncavallo, dove lo stile del canto si adatta perfettamente alla personalità dell’artista. Ma per i primi capolavori a 78 giri, o quasi (visto che debbono essere suonati a 75!) bisogna aspettare il 1907. Il suo "Largo al factotum" è eccezionale. Nonostante l’impasto della voce, così corpulento, riesce a fare tutti i virtuosismi secondo le esigenze della partitura. Più belle ancora sono le versioni del 1912 HMV e del 1920 Victor, dove è maturato dal punto di vista espressivo, mentre quella del 1929, utilizzata per la colonna sonora di un film, tradisce qualche durezza di emissione, ed i colori vocali non sono più così cangianti.
Trascendentali, secondo me, le pagine dell’Amleto di Thomas, spettacolari, supreme facciate mai più uguagliate: "O vin discaccia la tristezza" HMV 1907, è inaudito per la precisione dell’intonazione, per le variazioni cromatiche, controllate alla perfezione, e per il meraviglioso eloquente fraseggio. Dal 1904 al 1908, incise, di questo suo cavallo di battaglia, sette facciate; peccato non esista l’opera completa. Ottimo nella Carmen HMV

Hector Dufranne (25 October 1870, Mons - 4 May 1951, Paris)


Hector Dufranne in La Fille de Roland di Henry Rabaud
 Dufranne studied at the Brussels Conservatory with Désirée Demest before making his professional opera debut in 1896 at La Monnaie as Valentin in Charles Gounod's Faust. He returned to that opera house several times to sing such roles as Grymping in Vincent d'Indy's Fervaal (1897), Alberich in Richard Wagner's Das Rheingold (1898), Thomas in Jan Blockx's Thyl Uylenspiegel (1900), Thoas in Christoph Willibald Gluck's Iphigénie en Tauride (1902), the Innkeeper in Engelbert Humperdinck's Königskinder (1912), and Rocco in Ermanno Wolf-Ferrari's I gioielli della Madonna (1913).Dufranne sang at the Opéra-Comique in Paris from 1900 to 1912, making his first appearance as Thoas. He appeared in several world premieres with the company including creating the roles of Saluces in Griselidis (1901), the title role in Alfred Bruneau's L' Ouragan (1901), Golaud in Pelléas et Mélisande (1902), Amaury-Ganelon in La Fille de Roland by Henri Rabaud (1904), Koebi in Gustave Doret's Les Armaillis (1906), the title role in Xavier Leroux's Le Chemineau, Clavaroche in Fortunio by André Messager (1907), the fiancé in Raoul Laparra's La Habanéra (1908), and Don Iñigo Gomez in Maurice Ravel's L'Heure espagnole (1911). He also sang Scarpia in the Opéra-Comique’s first production of Giacomo Puccini's Tosca (1909).
Dufranne also appeared periodically at the Paris Opera beginning in 1907. He notably portrayed the role of John the Baptist in their first production of Richard Strauss's Salome (1910). He also sang at the Opéra de Monte-Carlo in 1907 where he took part in the creation of two world premieres, the role of Myriame in Jules Massenet's Thérèse and the title role in Bruneau's Naïs Micoulin. In 1914 he sang the role of Golaud in his only appearance at the Royal Opera, Covent Garden in London.
In 1908 Dufranne went to the United States for the first time to sing with the Manhattan Opera Company in the American premiere of Pelléas et Mélisande. He returned for several more productions through 1910, appearing as le Prieur in Le jongleur de Notre-Dame (1909), Caoudal in Sapho (1909), Rabo in Jan Blockx's Herbergprinses (performed in Italian as La Princesse d'Auberge, 1909), John the Baptist in Richard Strauss's Salome (1910), and Saluces in Massenet's Griselidis (1910). He also sang with the Chicago Grand Opera Company and the Chicago Opera Association from 1910–1922, creating there Léandre in The Love for Three Oranges (in French) by Sergei Prokofiev, in 1921.
In 1922, Dufranne returned to Paris where he continued to appear in operas in all the major houses in addition to appearing in other opera houses in France. He also spent a brief time performing in Amsterdam in 1935. In 1923 he created the part of Don Quixote in the stage première of El retablo de maese Pedro under the baton of the composer, Manuel de Falla. The performance was for a private audience and was held in the private theatre of Winnaretta Singer, Princess Edmond de Polignac. In 1924, he appeared at the Théâtre des Champs-Élysées in the world premiere of Léon Sachs's Les Burgraves.
With the outbreak of World War II in 1939, Dufranne retired from the stage, with his last performance being the role of Golaud at the opera house in Vichy. He lived in Paris and taught singing for many years before his death in 1951. His voice is preserved on a number of historic CD recordings made from 1904-1928 which have been issued on CYP 3612. He can also be heard on the first full recording of L’heure espagnole (1931), and in extracts from Pelléas et Mélisande (1927).




Discografia

Debussy - Pelléas et Mélisande (Selezione, dir. Georges Truc 1928)
Ravel - L'Heure espagnole (Opera completa, dir. Georges Truc 1929)


Ascolti


Debussy - Pelléas et Mélisande (act II, scene 2)
Orchestre de la Columbia, dir. Georges Truc, 1928.
Mélisande: Marthe Nespoulous
Golaud: Hector Dufranne



Debussy - Pelléas et Mélisande (act III, tower scene)

Orchestre de la Columbia, dir Georges Truc, 1928.
Mélisande: Marthe Nespoulous
Pelléas: Alfred Maguenat
Golaud: Hector Dufranne

http://www.youtube.com/watch?v=QUxmtgwgddM



Ravel - L'Heure espagnole

The first recording ever made of Ravel's masterpiece. Approved by Ravel himself.
Jeanne Krieger: Concepcion
Louis Arnoult: Gonzalve
Raoul Gilles: Torquemada
Jean Auber: Ramiro
Hector Dufranne: Don Inigo Gomez
Orchestre de la Columbia, dir. Georges Truc
(rec. 1929)

Parte I    http://www.youtube.com/watch?v=6Q7PMxcHUxc

Parte II   http://www.youtube.com/watch?v=ScetitDESpE

Parte III  http://www.youtube.com/watch?v=oUWrrvJ3WSg

Parte IV http://www.youtube.com/watch?v=UMhH0TTRyXI&feature=related

Parte V  http://www.youtube.com/watch?v=3_1AtdarlmI&feature=related




Mattia Battistini (Roma, 27 febbraio 1856 – Collebaccaro, 8 novembre 1928)

                                        "Re dei baritoni e baritono dei re"


Una voce d'oro della lirica dell'Ottocento è stata quella di Mattia Battistini, grande baritono dalla voce morbida e fluida, dal timbro quasi tenorile, d'una bellezza unica che sorprendeva per le sue finissime sfumature, per i famosi legati, per gli abbellimenti realizzati con chiarezza ed eleganza, per le note acute chiare e squillanti dello stesso colore del registro basso.
Questo baritono, dotato di eccezionali corde vocali, conosceva tutti i segreti per modularle: accentava, fraseggiava e impostava le note con maestria sorprendente.
Per cantare con dolcezza e soavità si serviva d'una deliziosa mezza voce, definita di velluto, che, però, era particolarmente estesa da arrivare sino al la sopra le righe del pentagramma. Sapeva accompagnare il canto con l'azione, dimostrando d'essere anche un ottimo attore; possedeva un'insuperabile tecnica derivante da uno studio quotidiano che eseguì sino alla fine della sua lunga carriera, durata cinquant'anni.
Era un interprete che scendeva veramente nel cuore dei diversi personaggi interpretati sulla scena e sapeva rappresentarli sia psicologicamente sia nel loro aspetto fisico, studiandone a fondo l'incedere e l'abbigliamento, tanto da essere definito arbiter elegantiarum.
Per queste sue molteplici doti, Mattia fu un cantante unico, finora irrepetibile, che si esibì nei più grandi teatri d'Europa e dell'America Latina, suscitando entusiasmi, deliri, passioni negli spettatori italiani e stranieri d'ogni età e ceto sociale, riscuotendo apprezzamenti di critici d'ogni paese per cui i giornali riempirono innumerevoli pagine di cronaca dei suoi spettacoli.
Pochi artisti sono stati, come lui, insignititi, da imperatori e sovrani, delle più alte onorificenze per la sua arte sublime che esprimeva in un repertorio vastissimo, comprendente circa cento opere liriche dei più famosi musicisti italiani e stranieri, con alcuni dei quali ebbe la fortuna di lavorare insieme.
(Elsa Boscardini)






Hamlet di Thomas, 1911
  
Iniziò gli studi di canto in giovanissima età sotto la guida di Venceslao Persichini (maestro anche di Titta Ruffo e Giuseppe de Luca) giungendo al debutto ne La Favorita di Gaetano Donizetti al Teatro Argentina di Roma già nel 1878. Prese così avvio una luminosa carriera che lo portò a cantare nei principali teatri italiani come primo baritono in numerose opere di repertorio, tra cui La forza del destino, Rigoletto, Il trovatore, Gli Ugonotti, I puritani, Lucia di Lammermoor
Nel 1881 si aprirono per Battistini le porte dei teatri internazionali: dapprima in Sud America (Buenos Aires e Rio de Janeiro), nel biennio '82/'83 in Spagna (Madrid e Barcellona), dal 1883 a Londra dove raccolse grandi consensi in Traviata e Trovatore, e poi Vienna, Parigi e Budapest. Nel 1888 fu ancora a Buenos Aires per una serie di impegni, ma per una specie di fobia dei viaggi in mare non si recò mai più oltreoceano.
A partire dal 1892 fu ospite ed incontrastato mattatore della produzione operistica russa per ben 23 stagioni consecutive (fino al 1916); divenne, infatti, il cantante favorito dello zar e dell'aristocrazia russa, condizione che gli valse il mitico titolo di "Re dei baritoni e baritono dei re". Nel 1902 andò in scena a San Pietroburgo nel Werther di Jules Massenet nel ruolo del protagonista, originariamente scritto per tenore, adattato appositamente per lui al registro di baritono dal compositore francese, tale era il prestigio del cantante italiano.
Durò in carriera fino a 70 anni (1927) grazie ad una tecnica considerata prodigiosa e ad una invidiabile intelligenza artistica. Erede indiscusso della vocalità "dolce" di Antonio Tamburini, Battistini era uso smorzare gli impeti vocali derivati da Ronconi ed evidentissimi in Titta Ruffo, in una soave eleganza fatta di sussurrate proporzioni. Valgono ancor oggi, a testimonianza di quel gusto, i dischi di arie d'opera e romanze da salotto in cui il timbro chiaro e luminoso (alle nostre orecchie quasi tenorile) di Battistini viene supportato da fiati ampi e vezzi chiaroscurali tipici di un canto elegante e manierato ormai scomparso.

fonte da http://it.wikipedia.org/wiki/Mattia_Battistini



Discografia

Molti conoscono già la figura leggendaria di Mattia Battistini, altri potranno scoprirla ascoltando la sua voce portentosa attraverso i numerosi (per quell'epoca) dischi che il baritono, consapevole della sua arte, incise dal 1902 al 1925, per lasciare ai giovani un insegnamento. In essi c'è tutta la sua scuola per questo molte case discografiche, inglesi, francesi, italiane ed americane li hanno riprodotti, usando tecniche di registrazione più moderne.
Questa preziosa antologia musicale, comprendente le più belle romanze da opere e varie melodie antiche, costituisce un documento importante per chi studia la lirica e testimonia la perfezione del bel canto di Battistini che ha segnato nella storia della musica un'epoca gloriosa.


  • The Complete Recordings: Mattia Battistini, Volume 1 (1902 - 1911) - Romophone (UK).
  • Mattia Battistini: a recital of arias by Mozart, Flotow, Donizetti, Gounod, Verdi, Ambroise Thomas, Preiser - Lebendige Vergangenheit (Austria).
  • Mattia Battistini: Il Re dei Baritoni, Preiser - L.V. Austria
  • Mattia Battistini, Volumes 1-3 - Pearl (UK).
  • Mattia Battistini Rarities, Volumes 1-2 - Symposium (UK).









  






Antonio Cotogni (Roma, 1 agosto 1831 – Roma, 15 ottobre 1918)

La voce di A. Cotogni è stata una delle più belle che siano mai esistite. Estesa dal la naturale basso al si naturale acuto, fu giudicata come la voce-tipo del baritono. Hanno detto della sua voce: "Essa è piena, fluida, eguale, , e commuove specialmente l’uditorio nel canto a fior di labbra. Artista perfettissimo, il Cotogni fa di ogni sua parte una creazione; difficilmente sorgerà un altro cantante ad emularlo;a superarlo giammai". Fu infatti il più grande baritono del suo tempo, grande come cantante e come attore, e solo Mattia Battistini, che si formò sotto la sua guida sapiente, riuscì poi ad avvicinarglisi.



 
Cotogni ha umili origini: nato il 1 agosto 1831 a Roma ,egli passò gli anni dell’adolescenza ad imparare l’arte della ceramica che il padre stesso esercitava. Lavorava nella fabbrica Lefevre in Via di Ponte Rotto. Ma il destino riserbava al giovane ben altro. Un giorno egli si reca all’Ospizio di San Michele a trovare un coetaneo, e resta in estasi dinanzi alle esercitazioni di canto degli alunni. Torna ogni domenica, ascolta sempre con maggiore entusiasmo, e richiama su di sé l’attenzione dei superiori. Il porporato prende a proteggerlo e lo affida al Maestro Scardovelli alla cui scuola la sua voce, aumentando a mano a mano di volume, si scurisce fino a mutarsi in quella di contralto. Sopraggiunto il periodo critico in cui avviene il cambiamento della voce, il Cotogni tace per circa sei mesi, e dopo.... sviluppa quel simpatico timbro di baritono che doveva procurargli tanti successi. Non subito, però: siamo nel 1849 e Toto Cotogni, attratto dal fascino di Giuseppe Garibaldi, lascia stare il canto per correre alle mura di Porta San Pancrazio; di lì a poco
comincia a provarsi in qualche chiesa. E si ricorda ancora l’entusiasmo folle da cui fu preso il pubblico romano quando, insieme al Mustafà ed al Rosati, egli cantò (1851) in Santa Maria in Vallicella. I devoti si misero ad applaudire freneticamente ed a chiedere il bis. Fu necessario l’intervento della forza per calmare quell’entusiasmo non troppo a posto in un tempio. Da allora gli amici lo spronarono a prepararsi per il teatro, ma egli era restio e ci volle uno spettacolo intimo a casa del suo nuovo Maestro Faldi per indurlo ad accettare la parte di Belcore nell’Elisir d’amore. Quello spettacolo determinò il suo avvenire. L’impresario Gori che vi assisteva ,gli propose subito, una stagione di carnevale al Metastasio. Il debutto avvenne felicemente la sera del 22 dicembre 1852. L’artista vide la sua via e per un anno volle studiare scena, preoccupandosi dell’interpretazione esatta delle opere; mandò a memoria interi spartiti, perseverò nello studio fino a creare i suoi personaggi.
Si esibì quindi sui palcoscenici dei teatri di Spoleto, Lanciano, Orvieto, Mirandola, Modena, Guastalla, Torino, Genova e Nizza. In quest’ultima città, accolto come giovane sconosciuto dalla preventiva sfiducia degli spettatori, seppe, dopo le prime battute, conquistare l’uditorio. E una sera fu visitato nel suo camerino da Giuseppe Garibaldi, che abbracciandolo affettuosamente ,si congratulò molto con lui. Lo stesso impresario Scalaberni, dopo il primo atto della Linda di Chamonix, corse a complimentarsi dicendogli: "Oh quale aspra battaglia hai vinta, amico mio! Se vuoi tornare l’anno venturo ti confermo fin da ora, raddoppiando la paga". E non glielo disse per generosità. Egli capiva che Cotogni era un artista arrivato.
Nel 1860 giunse alla Scala, cioè al ventiduesimo teatro in cui si produceva a pochi anni di distanza dal debutto. Le sue opere destinategli erano L’Assedio di Firenze, Il Guglielmo Tell , Il Vittor Pisani, L’Attila, La Sonnambula . Questo esordio alla Scala lo atterrisce. Teme che il teatro sia troppo vasto per la sua voce. Prima di presentarsi a quel pubblico fu assalito da un tremito convulso che lo accompagnò un poco durante tutta la recita. Per questo soltanto ,due o tre critici del tempo, nel loro resoconto di quella sera , gli osservarono un certo tremito nella voce che pareva soffocata nel registro acuto. Ma dalla seconda sera in poi Cotogni riprese la sua padronanza ed il successo di pubblico e di critica divenne concorde, incondizionato. Da Milano, Toto Cotogni, passò rapidamente in molte altre città: Trieste Carpi, Madrid. In quest’ultima dette La Forza del destino e conobbe di persona Verdi che volle affidargli la prima del Don Carlos.. Come sempre , anche questa volta il Cotogni mise ogni impegno nel prepararsi: assisté ad una recita a Madrid e si creò un Marchese di Posa, permettendosi anche qualche ardita variante alla musica del Maestro. La sua interpretazione entusiasmò e commosse lo stesso incontentabile Giuseppe Verdi, il quale tre anni dopo quando il Cotogni faceva conoscere la sua nuova opera a Torino, gli inviò un piccolo foglio di carta su cui erano tracciate di proprio pugno le prime note dell’aria Per me è giunto il passo estremo col relativo accompagnamento di pianoforte e con la dedica, eccezionale in un uomo così schivo di espansività come lui Al suo carissimo Cotogni G. Verdi.
Da questo punto cominciano i suoi successi strepitosi all’estero. Debutta a Londra al Covent Garden, e vi svolge 23 stagioni liriche .L’Africana, Il Don Giovanni e Il Barbiere ebbero in lui l’interprete ideale. A Passy lo stesso Rossini , già vecchio e malandato, volle sentirlo. La cavatina venne conclusa dal Cotogni senza quell’antipatica cadenza che molti artisti le danno per strappare un facile applauso.
"Così l’ho scritta io" disse Rossini seriamente. E dopo un istante , con quello spirito che quantunque vecchio, non lo abbandonava , improvvisò questo strambotto:
"Non siete tra i baritoni
Dì tal razza asinina
Che la cadenza storpiano
Nella mia cavatina".
Alle 23 stagioni londinesi il baritono Cotogni fece seguire 26 stagioni a Pietroburgo. Non è possibile dare un’idea esatta del fanatismo che egli suscitò in Russia : basti dire che per l’opera Linda vennero richiesti posti per telegrafo da Mosca e perfino dalla penisola di Crimea! Alla rappresentazione della Gioconda l’Imperatrice , che vi assisteva , si recò a salutarlo sul palcoscenico, e Ponchielli, come più tardi Rubinstein, gli inviarono in segno di riconoscenza ed affetto due autografi. Fu precisamente Rubinstein ad indurre Cotogni ad accettare la direzione della Scuola di Canto al Conservatorio di Pietroburgo, dove per ben quattro anni egli insegnò, e da dove dovette congedarsi solo quando le malferme condizioni di salute lo costrinsero ad abbandonare il troppo rigido clima russo. E anche della partenza del Cotogni dalla Russia sarebbe difficile dare un idea adeguata. Quel popolo aveva preso ad amarlo con entusiasmo e lo circondava quasi di venerazione. Grandi furono gli onori con i quali volle salutarlo: il giorno della sua ultima recita al Teatro Imperiale, l’Imperatore stesso , prima che egli uscisse di casa, gli mandò un concerto militare sotto le finestre ed un altro dinanzi all’ingresso del teatro. Da questo momento troviamo il Cotogni trionfante in Francia , in Portogallo, e in Italia , dove dà le sue ultime rappresentazioni. Nel 1889 esegue a Roma I Puritani e Un ballo in maschera; nel 1890 la Mignon, la Lucia e Il Barbiere; nel 1892 il Biricchino; nel 1893 ancora Il Barbiere, nel 1899 all’Accademia di Santa Cecilia , presenti la Regina , Grieg, D’Annunzio , esegue la Messa di Brahms; nel 1902 , alla stessa Accademia , canta con Adelina Patti il duetto del Don Giovanni; e finalmente nel 1904 canta all’Ambasciata di Russia a beneficio dei soldati caduti e malati dell’Estremo Oriente . Dopo questa data non cantò più in pubblico. Accettò però l’insegnamento di canto al Liceo Musicale di S. Cecilia di Roma , e dalla sua scuola uscirono ottimi artisti.
Ebbene questa grande gloria del teatro musicale italiano ed internazionale , che a 73 anni in un pubblico concerto, aveva esibito una vocalità ancora integra e salda , morì povero e dimenticato il 15 ottobre 1918 . Una affrettata colletta tra i pochi amici ed ex allievi dell’artista permise di dare degna sepoltura ad Antonio Cotogni, dato che per lui, che aveva portato la gloria del canto italiano nel mondo, non si mossero né lo Stato Italiano, né il Comune di Roma, né L’Accademia di S. Cecilia, di cui egli era membro.
Una lapide ora lo ricorda in Via della Luce , nel cuore di Trastevere a Roma dove egli era nato.



Ascolti


J. Massenet - Le Roi de Lahore ''O casto fior '' (Versione italiana di ''Promesse de mon avenir'')
Registrazione del 1907