giovedì 1 settembre 2011

Antonio Cotogni (Roma, 1 agosto 1831 – Roma, 15 ottobre 1918)

La voce di A. Cotogni è stata una delle più belle che siano mai esistite. Estesa dal la naturale basso al si naturale acuto, fu giudicata come la voce-tipo del baritono. Hanno detto della sua voce: "Essa è piena, fluida, eguale, , e commuove specialmente l’uditorio nel canto a fior di labbra. Artista perfettissimo, il Cotogni fa di ogni sua parte una creazione; difficilmente sorgerà un altro cantante ad emularlo;a superarlo giammai". Fu infatti il più grande baritono del suo tempo, grande come cantante e come attore, e solo Mattia Battistini, che si formò sotto la sua guida sapiente, riuscì poi ad avvicinarglisi.



 
Cotogni ha umili origini: nato il 1 agosto 1831 a Roma ,egli passò gli anni dell’adolescenza ad imparare l’arte della ceramica che il padre stesso esercitava. Lavorava nella fabbrica Lefevre in Via di Ponte Rotto. Ma il destino riserbava al giovane ben altro. Un giorno egli si reca all’Ospizio di San Michele a trovare un coetaneo, e resta in estasi dinanzi alle esercitazioni di canto degli alunni. Torna ogni domenica, ascolta sempre con maggiore entusiasmo, e richiama su di sé l’attenzione dei superiori. Il porporato prende a proteggerlo e lo affida al Maestro Scardovelli alla cui scuola la sua voce, aumentando a mano a mano di volume, si scurisce fino a mutarsi in quella di contralto. Sopraggiunto il periodo critico in cui avviene il cambiamento della voce, il Cotogni tace per circa sei mesi, e dopo.... sviluppa quel simpatico timbro di baritono che doveva procurargli tanti successi. Non subito, però: siamo nel 1849 e Toto Cotogni, attratto dal fascino di Giuseppe Garibaldi, lascia stare il canto per correre alle mura di Porta San Pancrazio; di lì a poco
comincia a provarsi in qualche chiesa. E si ricorda ancora l’entusiasmo folle da cui fu preso il pubblico romano quando, insieme al Mustafà ed al Rosati, egli cantò (1851) in Santa Maria in Vallicella. I devoti si misero ad applaudire freneticamente ed a chiedere il bis. Fu necessario l’intervento della forza per calmare quell’entusiasmo non troppo a posto in un tempio. Da allora gli amici lo spronarono a prepararsi per il teatro, ma egli era restio e ci volle uno spettacolo intimo a casa del suo nuovo Maestro Faldi per indurlo ad accettare la parte di Belcore nell’Elisir d’amore. Quello spettacolo determinò il suo avvenire. L’impresario Gori che vi assisteva ,gli propose subito, una stagione di carnevale al Metastasio. Il debutto avvenne felicemente la sera del 22 dicembre 1852. L’artista vide la sua via e per un anno volle studiare scena, preoccupandosi dell’interpretazione esatta delle opere; mandò a memoria interi spartiti, perseverò nello studio fino a creare i suoi personaggi.
Si esibì quindi sui palcoscenici dei teatri di Spoleto, Lanciano, Orvieto, Mirandola, Modena, Guastalla, Torino, Genova e Nizza. In quest’ultima città, accolto come giovane sconosciuto dalla preventiva sfiducia degli spettatori, seppe, dopo le prime battute, conquistare l’uditorio. E una sera fu visitato nel suo camerino da Giuseppe Garibaldi, che abbracciandolo affettuosamente ,si congratulò molto con lui. Lo stesso impresario Scalaberni, dopo il primo atto della Linda di Chamonix, corse a complimentarsi dicendogli: "Oh quale aspra battaglia hai vinta, amico mio! Se vuoi tornare l’anno venturo ti confermo fin da ora, raddoppiando la paga". E non glielo disse per generosità. Egli capiva che Cotogni era un artista arrivato.
Nel 1860 giunse alla Scala, cioè al ventiduesimo teatro in cui si produceva a pochi anni di distanza dal debutto. Le sue opere destinategli erano L’Assedio di Firenze, Il Guglielmo Tell , Il Vittor Pisani, L’Attila, La Sonnambula . Questo esordio alla Scala lo atterrisce. Teme che il teatro sia troppo vasto per la sua voce. Prima di presentarsi a quel pubblico fu assalito da un tremito convulso che lo accompagnò un poco durante tutta la recita. Per questo soltanto ,due o tre critici del tempo, nel loro resoconto di quella sera , gli osservarono un certo tremito nella voce che pareva soffocata nel registro acuto. Ma dalla seconda sera in poi Cotogni riprese la sua padronanza ed il successo di pubblico e di critica divenne concorde, incondizionato. Da Milano, Toto Cotogni, passò rapidamente in molte altre città: Trieste Carpi, Madrid. In quest’ultima dette La Forza del destino e conobbe di persona Verdi che volle affidargli la prima del Don Carlos.. Come sempre , anche questa volta il Cotogni mise ogni impegno nel prepararsi: assisté ad una recita a Madrid e si creò un Marchese di Posa, permettendosi anche qualche ardita variante alla musica del Maestro. La sua interpretazione entusiasmò e commosse lo stesso incontentabile Giuseppe Verdi, il quale tre anni dopo quando il Cotogni faceva conoscere la sua nuova opera a Torino, gli inviò un piccolo foglio di carta su cui erano tracciate di proprio pugno le prime note dell’aria Per me è giunto il passo estremo col relativo accompagnamento di pianoforte e con la dedica, eccezionale in un uomo così schivo di espansività come lui Al suo carissimo Cotogni G. Verdi.
Da questo punto cominciano i suoi successi strepitosi all’estero. Debutta a Londra al Covent Garden, e vi svolge 23 stagioni liriche .L’Africana, Il Don Giovanni e Il Barbiere ebbero in lui l’interprete ideale. A Passy lo stesso Rossini , già vecchio e malandato, volle sentirlo. La cavatina venne conclusa dal Cotogni senza quell’antipatica cadenza che molti artisti le danno per strappare un facile applauso.
"Così l’ho scritta io" disse Rossini seriamente. E dopo un istante , con quello spirito che quantunque vecchio, non lo abbandonava , improvvisò questo strambotto:
"Non siete tra i baritoni
Dì tal razza asinina
Che la cadenza storpiano
Nella mia cavatina".
Alle 23 stagioni londinesi il baritono Cotogni fece seguire 26 stagioni a Pietroburgo. Non è possibile dare un’idea esatta del fanatismo che egli suscitò in Russia : basti dire che per l’opera Linda vennero richiesti posti per telegrafo da Mosca e perfino dalla penisola di Crimea! Alla rappresentazione della Gioconda l’Imperatrice , che vi assisteva , si recò a salutarlo sul palcoscenico, e Ponchielli, come più tardi Rubinstein, gli inviarono in segno di riconoscenza ed affetto due autografi. Fu precisamente Rubinstein ad indurre Cotogni ad accettare la direzione della Scuola di Canto al Conservatorio di Pietroburgo, dove per ben quattro anni egli insegnò, e da dove dovette congedarsi solo quando le malferme condizioni di salute lo costrinsero ad abbandonare il troppo rigido clima russo. E anche della partenza del Cotogni dalla Russia sarebbe difficile dare un idea adeguata. Quel popolo aveva preso ad amarlo con entusiasmo e lo circondava quasi di venerazione. Grandi furono gli onori con i quali volle salutarlo: il giorno della sua ultima recita al Teatro Imperiale, l’Imperatore stesso , prima che egli uscisse di casa, gli mandò un concerto militare sotto le finestre ed un altro dinanzi all’ingresso del teatro. Da questo momento troviamo il Cotogni trionfante in Francia , in Portogallo, e in Italia , dove dà le sue ultime rappresentazioni. Nel 1889 esegue a Roma I Puritani e Un ballo in maschera; nel 1890 la Mignon, la Lucia e Il Barbiere; nel 1892 il Biricchino; nel 1893 ancora Il Barbiere, nel 1899 all’Accademia di Santa Cecilia , presenti la Regina , Grieg, D’Annunzio , esegue la Messa di Brahms; nel 1902 , alla stessa Accademia , canta con Adelina Patti il duetto del Don Giovanni; e finalmente nel 1904 canta all’Ambasciata di Russia a beneficio dei soldati caduti e malati dell’Estremo Oriente . Dopo questa data non cantò più in pubblico. Accettò però l’insegnamento di canto al Liceo Musicale di S. Cecilia di Roma , e dalla sua scuola uscirono ottimi artisti.
Ebbene questa grande gloria del teatro musicale italiano ed internazionale , che a 73 anni in un pubblico concerto, aveva esibito una vocalità ancora integra e salda , morì povero e dimenticato il 15 ottobre 1918 . Una affrettata colletta tra i pochi amici ed ex allievi dell’artista permise di dare degna sepoltura ad Antonio Cotogni, dato che per lui, che aveva portato la gloria del canto italiano nel mondo, non si mossero né lo Stato Italiano, né il Comune di Roma, né L’Accademia di S. Cecilia, di cui egli era membro.
Una lapide ora lo ricorda in Via della Luce , nel cuore di Trastevere a Roma dove egli era nato.



Ascolti


J. Massenet - Le Roi de Lahore ''O casto fior '' (Versione italiana di ''Promesse de mon avenir'')
Registrazione del 1907
                                           




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